sabato 19 maggio 2018

America perduta


Mi stavo, solo allora, adattando alle distanze americane, dove gli stati sono grandi come nazioni. L'Illinois è grande due volte l'Austria e quattro la Svizzera. C'è un impressionante vuoto, una impressionante distanza tra una città e l'altra. Attraversi un paese, vedi la cafeteria affollata e pensi: "Meglio arrivare a Fisima-City per bere il caffè", illudendoti che sia lì svoltato l'angolo. Poi, però, arrivi al bivio e un cartello annuncia: FISIMA-CITY 165 CHILOMETRI. È allora che ti rendi conto che le distanze in America hanno una scala differente.  
(Bill Bryson, America perduta)



Buon weekend lettori in pantofole! Oggi vi racconto qualcosa sulla mia ultima lettura: America perduta di Bill Bryson, terminato giusto la settimana scorsa. Dopo aver letto Una passeggiata nei boschi, non ho fatto passare molto tempo prima di cimentarmi nuovamente nella scrittura ironica e istrionica di Bryson. Certo, America perduta ha un taglio diverso, ma, ho scoperto, un viaggio con Bill vale sempre la pena con tutti i pregi e i difetti del caso... 


Sono gli anni Ottanta, Bill Bryson originario di Des Moines, Iowa, ma inglese di adozione, torna a casa negli Stati Uniti deciso a percorrere un lungo viaggio in quella terra da tempo abbandonata. A 35 anni, con una vecchia Chevrolet Chevette e un fascio di carte stradali si mette alla ricerca dei luoghi della propria infanzia: 22.500 km a ritroso nel tempo ma anche 22.500 km di viaggio e riscoperta di quella America di provincia e rurale di cui poco si sa ma tanto si parla. 
La strada si srotola da est a ovest e Bill Bryson ci racconta la propria esperienza, arricchita di anedotti, digressioni e tanto irriverente humour...   

IL MIO PENSIERO

Volevo viaggiare. Volevo vedere l'America. Volevo tornare a casa.
Così presi un volo per Des Moines, comperai un fascio di carte stradali, le sparpagliai sul pavimento del soggiorno, le studiai attentamente e stabilii un itinerario circolare che mi avrebbe permesso di vedere quella immensa e semisconosciuta nazione. 
Proprio così, un viaggio circolare. Il resoconto di Bill Bryson è diviso, infatti, in due parti: est e ovest. Partenza da Des Moines, Iowa, discesa a sud e risalita attraverso gli Stati della costa orientale per tornare alla base (la casa della madre a Des Moines) e di nuovo ripartire verso il mitico Ovest in un cerchio che lo condurrà a toccare il New Mexico, l'Arizona e poi a risalire lungo la costa occidentale. Cartina alla mano dunque, fondamentale per il lettore per seguire Bryson e la sua vecchia Chevette (ho trovato utilissima la minicartina che apre il volume). Ma non immaginatevi, metropoli, grattacieli e modernità, l'America che Bill Bryson va a cercare è quella delle cittadine di provincia, gli agglomerati che sulle "pressapochiste" cartine statunitensi spesso non sono neanche segnati. L'America delle stazioni di servizio, dei parcheggi immensi, dei centri commerciali, dei diner e dei motel.

Come tutte le città americane aveva in centro solo un mucchio di parcheggi, palazzoni circondati da una miriade di centri commerciali, stazioni di servizio, fast-food e tavole-calde. Senza infamia e senza lode. È la descrizione di Springfield (Illinois), di quella bruttezza affascinante (via, passatemi l'ossimoro) che è poi la Real America. Nel mezzo ci sono chilometri e chilometri di strada, di terra piatta, appezzamenti coltivati, qualche silos: è quell'impressionante vuoto a cui gli europei non sono avvezzi, una realtà fuori dal tempo che Bill Bryson dipinge con il suo consueto irriverente umorismo. E il concetto di distanza mi ha davvero colpito così come la varietà e i mille spunti che l'autore mette in campo. Nella sua ricerca della città perfetta, che è poi un amalgama di tutte le città che l'autore ha visto nei film e letto su giornali e libri, e quindi assolutamente irreale, Bryson si getta a capofitto alla riscoperta del proprio mondo con l'occhio di chi ne ha vissuto lontano per troppo tempo. Lo stile è frizzante, comico, talvolta irriverente ma capace di penetrare con acume le dissonanze, i contrasti e le dicotomie di questo immenso paese: corruzione, criminalità, ignoranza, consumismo. C'è un po' di tutto e ce n'è per tutti: Questa è la cosa più seducente dell'America - la gente compra quello che desidera, subito, senza valutare se è utile o meno. C'è qualcosa di terribilmente preoccupante e spaventosamente irresponsabile in questa autogratificazione senza fine, in questo costante appello agli istinti primitivi.
Ma accanto a tutto questo c'è anche l'avventura, il sogno, l'attaccamento alle radici e così, tra mille digressioni (a volte anche troppe) Bryson ci presenta, con bellissime descrizioni, la casa di Faulkner (Mississippi) e quella di Elvis, l'enigma tutto coloniale dei Melungeones dei monti Appalachi e le meraviglie della Smithsonian Institution (Washington) e dell'Henry Ford Museum (Michigan). E ancora i campi di battaglia disseminati un po' per tutti gli Stati dell'unione, Winterset (Iowa), la città che ha dato i natali a John Wayne e Holcomb (Kansas) palcoscenico dei delitti narrati in A sangue freddo di Truman Capote. Un posticino particolare lo dedico alla pittoresca Santa Fe (New Mexico) con le sue case di adobe e la plaza in stile spagnolo, di cui mi sono perdutamente innamorata e ai paesaggi mozzafiato del Grand Canyon: Non c'è nulla che possa prepararvi al Grand Canyon. Indipendentemente da quanto abbiate letto sull'argomento o da quante immagini abbiate visto, la visione è sempre mozzafiato. La mente incapace di concepire uno spettacolo di quella portata, semplicemente soccombe e, per lunghi istanti, vi sentite una nullità, rimanete senza parole né fiato, e provate solo un inenarrabile sgomento davanti a un fenomenale spettacolo così immenso, meraviglioso e silenzioso.

Mi sono resa conto di averla tirata per le lunghe: che dire, Bill Bryson tiene sempre compagnia, strappa fin troppi sorrisi e molte riflessioni. Certo, devo ammettere di non aver trovato qui la stessa brillantezza e leggerezza di Una passeggiata nei boschi. L'autore calca più la mano e a volte il suo umorismo si fa sin troppo spinto e fuori luogo, appesantendo un po' la lettura ma è sicuramente un valido affresco delle vastità americane (peccato che il viaggio non abbia contemplato stati com il Texas, la Louisiana e l'Oregon). Tre pantofole e mezzo. Bill Bryson ci racconta l'America degli anni Ottanta, quando Reagan governava e Madonna scalava le classifiche. Forse adesso non è più così, molto di ciò che ha visto non lo riconosceremmo, forse è tutto cambiato, oppure no, chissà.

Di seguito vi lascio tutti i dati dell'edizione economica Feltrinelli:

BILL BRYSON

America perduta
(titolo originale: The Lost Continent)
editore: Feltrinellipagine: 302; EAN: 9788807880759
data di pubblicazione: 27 dicembre 2012
brossura: € 9.50; eBook: € 6.99; acquistalo su: Giunti al Punto

Un appassionante vagabondaggio per le strade di un’America minore, dentro il cuore delle piccole città che sono l’anima segreta degli Stati Uniti, luoghi in cui la vita sembra rimasta ferma agli anni cinquanta. Un viaggio attraverso un presente rimasto passato, in una provincia rurale che sembra non voler lasciare spazio al futuro. Bill Bryson, americano di nascita ma inglese d’adozione, percorre a bordo di una vecchia Chevrolet 22.500 chilometri all’inseguimento di un ricordo. Restituendoci un tempo cristallizzato, la canzone di uno sterminato paese che continua a credere, a immaginare, a vivere fra le pieghe di un sogno domestico e provinciale.


CHI È BILL BRYSON:
scrittore e giornalista, è nato a Des Moines (Iowa) nel 1951. Dopo aver vissuto vent'anni in Inghilterra (dove si era trasferito nel 1977) è tornato negli Stati Uniti. Collaboratore di Times, Independent, Washington Post e New York Times, è autore di decine di pubblicazioni tra le quali con Guanda: Una passeggiata nei boschi, In un paese bruciato dal sole, Una città o l’altra, Diario africano, Notizie da un’isoletta, Breve storia di (quasi) tutto, Vestivamo da Superman, Il mondo è un teatro e Breve storia della vita privata. Con Feltrinelli ha pubblicato America perduta mentre con Salani Storia (molto) breve di quasi tutto. Da Una passeggiata nei boschi è stato tratto un film con Robert Redford e Nick Nolte.


Be' lasciatemelo dire per chiudere questo viaggio di Bill Bryson alla riscoperta delle proprie radici non possiamo che andarci ad ascoltare Born in the USA di Bruce Springsteen (Born in the U.S.A., 1984). Sono gli anni Ottanta e il pezzo riscuote un così grande successo di pubblico da essere annoverato oggi tra le 365 canzoni del secolo:

1 commento:

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