domenica 26 agosto 2018

Something in the way



Buona domenica, lettori in pantofole! Finalmente di ritorno su queste pagine!
Le vacanze sono terminate e mercoledì sono rientrata al lavoro e al solito tran tran quotidiano ma, prima di tornare a parlare di libri e recensioni, ho deciso di fissare qualche impressione sul mio viaggio con le #minibookriders della McMusa nel Pacific Northwest (se volete saperne di più cliccate qui). Un viaggio indimenticabile per compagnia, spazi, paesaggi, letture e musica che pure mi resta difficile raccontare nel suo insieme. Portate pazienza ma il Nord Ovest è sempre stato un po' la mia chimera, il mio El Dorado, così ho deciso di dedicare qualche post estemporaneo a quelli che sono stati i luoghi e i momenti più suggestivi per la sottoscritta. 
Tra questi c'è senz'altro Aberdeen, anonima cittadina della provincia americana divenuta suo malgrado famosissima per aver dato i natali a Kurt Cobain...

Aberdeen ci ha accolte stranamente con il sole (se pensate che lo stato di Washington è riconosciuto come il più piovoso d'America) e forse la mia camicia a quadri stona con il tepore dei suoi raggi ma di certo non con il mood del momento. Del resto sto per visitare i luoghi universalmente riconosciuti come la culla del grunge, i luoghi dove la storia di Kurt Cobain ha avuto inizio: prima dei Nirvana, prima che Smells Like Teen Spirit si trasformasse nel manifesto rock di un'intera generazione.
Come as you are... "Vieni come sei" recita ancora il cartello alle porte della cittadina, sito di pellegrinaggi e delle immancabili foto di rito (certo, le abbiamo fatte anche noi, con tanto di selfie e controselfie 😂).

Dai finestrini dell'auto sfilano prefabbricati e vecchie case, alcune con il giardino in ordine e ben curato, altre fatiscenti che paiono stare a stento in piedi. Tra queste c'è anche la casa di Wendy O'Connor, dove Kurt Cobain è nato e ha trascorso i primi anni della sua infanzia e non puoi fare a meno di chiederti come doveva essere la vita qui, negli anni Settanta, tra segherie e capannoni industriali. Ma non è questa la nostra destinazione, bensì un piccolo ponte, il North Aberdeen Bridge, sul fiume Wishkah. Qui oggi c'è un parco, il Kurt Cobain Riverfront Park, con tanto di targa, monumento memoriale (una chitarra in pietra), un tavolo ricoperto di graffiti e qualche panchina. La casa che sorge lì accanto mostra messaggi poco invitanti indirizzati ai fan (questa non è la casa di Kurt Cobain, non è un gift shop) probabilmente da parte di residenti esasperati dal continuo andirivieni di quelli come noi. C'è già qualcuno che si aggira nei dintorni, sbuca da sotto il ponte in religioso silenzio e osserva l'immagine di Cobain che troneggia sulla targa a lui dedicata. L'emozione è forte, la McMusa ci legge un passo che parla proprio della scomparsa di Cobain letta dal punto di vista di uno dei tanti ragazzi che sul significato e sugli effetti di quella scomparsa si è interrogato con parole e riflessioni decisamente suggestive (potete leggere l'articolo qui).
Del resto siamo vicine al luogo che ha ispirato Something in the Way, il ponte sotto al quale un giovane Kurt Cobain trascorse tante ore, dove nel 1985 dormì addirittura, ormai privo di una fissa dimora. Mi spingo sotto il ponte, nella cavità costituita dai piloni in cemento. L'acqua ha un colore davvero poco invitante ed è pieno di scritte lì sotto, scritte che si sono sovrapposte negli anni, messaggi su messaggi di tanti ragazzi che nella musica dei Nirvana si sono conosciuti e riconosciuti, compresa la sottoscritta.
Uno spazio angusto e decadente che è adesso meta di pellegrinaggio, perché è anche da qui che hanno avuto origine quelle note distorte e quei testi contorti che hanno fatto urlare un'intera generazione. Nato dall'isolamento, il grunge è stato soprattutto rabbia, disagio e protesta ma anche l'inno di tutti coloro che si sentivano i peggiori anche in ciò che facevano meglio.

Visitare Aberdeen ha risvegliato tante emozioni, tanta nostalgia, tanta malinconia. Nell'oscurità, sotto a quel ponte, ho ripensato ai miei idoli a Kurt Cobain, sì, ma anche a Andy Wood, Layne Staley e per ultimi  Scott Weiland e Chris Cornell tutti schiacciati da quella stessa oscurità e da un peso che è diventato oggi la nostra più grande eredità...  

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